Oltre il “disagio”, l’impegno per la “città dell’uomo”., Il “vangelo che abbiamo ricevuto” sbarca a Napoli di Valerio Gigante

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carloceruti
view post Posted on 26/12/2010, 10:42




Oltre il “disagio”, l’impegno per la “città dell’uomo”.



Il “vangelo che abbiamo ricevuto” sbarca a Napoli di Valerio Gigante




in “Adista” n. 73 del 2 ottobre 2010




“Non vogliamo essere un movimento o una federazione di altri movimenti e gruppi e tanto meno un gruppo di pressione ecclesiale”; riteniamo infatti “che i gruppi di pressione all’interno della Chiesa, ove ci sono, giochino un ruolo estremamente importante, ma noi non siamo nati per questo”.
Scrivevano così i promotori dei due incontri fiorentini del “Vangelo che abbiamo ricevuto”, che nel 2008 e nel febbraio di quest’anno avevano riunito il cosiddetto cattolicesimo del “disagio” nella loro lettera di invito scritta alla vigilia del terzo incontro, svoltosi a Napoli il 17-19 settembre scorsi.
E la questione, a due anni di distanza dall’assise che fece uscire allo scoperto una intera area ecclesiale che tornava con forza a chiedere un ruolo da protagonista per il laicato cattolico, resta ancora tutta aperta. E ancora non risolta: le energie, le speranze, le tensioni, i contributi di quanti partecipano a questi incontri - ci si è chiesto in questi mesi da più parti - che sbocco concreto possono avere nella quotidiana realtà ecclesiale? Se la rete non è la strada, e non lo è nemmeno il coordinamento stabile tra le diverse realtà sparse sul territorio, come evitare il rischio della kermesse, dell’evento che anno dopo anno scandisce un tempo all’interno del quale l’azione dei laici non riesce a declinarsi in forme efficaci e resta isolata, quando non puramente testimoniale?
L’incontro di Napoli non ha risolto questo interrogativo, riproponendo tutte le novità e le contraddizioni, i risultati e le incognite del percorso sin qui fatto. Con alcune significative novità, però.
Il tema anzitutto, preso da una frase di Dietrich Bonhoeffer, “Pregare e fare ciò che è giusto fra gli uomini”, indicava chiaramente, più di quanto non fosse avvenuto negli incontri precedenti, la necessità per i cristiani, proprio in quanto credenti, di un impegno diretto nella sfera sociale e politica per la trasformazione dello stato di cose presenti. Un tema declinato, nella prima sessione dei lavori, soprattutto sul versante del degrado della democrazia in Italia, degli attentati alla Costituzione e del modo con cui la Chiesa italiana si pone di fronte a tale drammatico contesto.
Nella II sessione, invece, l’assemblea si è interrogata sui criteri evangelici di “ciò che è giusto” e su come fare “ciò che è giusto” oggi in Italia.
La seconda novità del convegno riguarda le presenze, meno numerose rispetto ai precedenti appuntamenti di Firenze. Circa 200 le persone che hanno partecipato ai lavori nelle diverse giornate in cui si sono articolati. Un calo dovuto in gran parte al fatto che Napoli era meno facilmente raggiungibile dal centro-nord, che certamente rappresenta l’area di maggiore radicamento dei cattolici del “disagio”; va però anche rilevato che lo spostamento a Sud della sede dell’incontro ha consentito la presenza anche di diverse persone che non avevano potuto partecipare ai primi due appuntamenti.
Infine, significativo è stato lo spazio dedicato al dibattito ed al confronto tra i partecipanti, assai maggiore rispetto agli appuntamenti di Firenze, con la possibilità per tutti di intervenire e commentare le relazioni, ma anche di suggerire altre ipotesi e piste di ricerca.
Né uniformità, né unanimismo
Nell’introdurre i lavori, la teologa Maria Cristina Bartolomei ha cercato di sintetizzare il dibattito degli ultimi mesi, tentando di delineare le prospettive future di questa serie di incontri. Ha sottolineato l’esigenza di “dar voce all’ekklesia”, che “non vuol dire fare comunicati, ma comunicare”, “camminare insieme, con le parole del card. Pellegrino, con pazienza e dandosi un tempo lungo per realizzare un esercizio reale di sinodalità”, che non può ridursi “all’unanimismo, e nemmeno all’uniformità”. La teologa ha poi rilevato l’esigenza di guardare oltre il disagio, “che non vuol dire considerare questo tema archiviato o superato”, quanto piuttosto non ridurre le occasioni di incontro e confronto a momenti “in cui vedersi per aggiornare o sviluppare il nostro cahier de doléances”. Certo, ha però sottolineato la Bartolomei, la Chiesa continua ad oscillare “tra pesanti ingerenze ai limiti della violazione del Concordato ed occasioni in cui chiamarsi fuori dal dibattito pubblico, anche quando toccano valori fondativi del vivere civile”. Per la Chiesa sembrano oggi “rilevanti solo i comportamenti individuali”.
“L’archetipo” del Concordato
La ragione che porta la gerarchia ecclesiastica ad operare sempre secondo la stessa logica, cioè quella per cui solo chi concede privilegi e tutele alla Chiesa merita il suo sostegno, secondo Alberto Melloni risiede in quello che lo storico ha definito “l’archetipo del Concordato”. Fu il fascismo, infatti, ha detto Melloni, a dare alla Chiesa quelle concessioni che essa riteneva indispensabili, a patto di sottrarle ogni autonomia di giudizio rispetto ad ogni altro tema. Contraddizione, quella del Concordato, che la Costituzione repubblicana non ha affatto superato. E non solo a causa dell’art. 7. “C’è ad esempio l’art. 29, che definisce la famiglia come ‘società naturale’: un clamoroso ossimoro, perché se la famiglia nasce da una precisa volontà dei contraenti, certamente non si può considerare ‘naturale’”.
Rispetto a questo modello “concordatario”, ha detto Melloni, il “ruinismo” ha rappresentato uno stadio ancora più avanzato. Ruini, infatti, “ha agito non solo sul Paese, ma anche sulla Chiesa, trasformata da comunità plurale, a volte anche litigiosa, politicizzata e lacerata, in organismo afono, governato da un episcopato afono con un leader che parlava a nome di tutti”. E se il meccanismo dell’8 per mille “ha consegnato alla Chiesa italiana una grande stabilità sul versante economico, le ha però fatto perdere il suo contatto con la base”. Ma anche il modello ruiniano, come tutte le altre forme di “onnipotenza” con cui la Chiesa si è presentata sulla scena pubblica dopo l’Unità d’Italia - ha concluso Melloni - risultano deboli e perdenti, come dimostra l’attuale scontro ai vertici della Chiesa cui assistiamo oggi .
La “discontinuità” è insita nella Chiesa
Il tema dell’onnipotenza è tornato anche nella relazione di Raniero La Valle sul “Concilio tradito”. La Valle ha individuato infatti una prima forma di “tradimento” proprio “nella reiterata pretesa della Chiesa di possedere e amministrare la verità, togliendo a credenti e non credenti l’anelito a cercarla; nel fare della Parola scritta nella Bibbia e dopo la Bibbia il libro di una Chiesa installata per uomini installati e non per donne e uomini che cercano e camminano”. Ma il “tradimento” consiste anche nel non accettare il fatto che il Concilio ha dimostrato che “la Chiesa non arretra davanti al cambiamento, fosse pure un cambiamento che tocca il modo di pregare, il modo di credere, e la stessa invariabilità del magistero romano”. La “discontinuità”, specie se dottrinale, che tanto fa paura a Ratzinger, del resto, ha caratterizzato da sempre la storia della Chiesa. Anche quella attuale.
Non si spiegherebbe altrimenti come mai il papa, nel 2007, “contro una tradizione rimasta ininterrotta da secoli, da S. Agostino a Pio XII, fece dire alla Commissione Teologica Internazionale che si può sperare nella salvezza anche dei bambini morti senza battesimo; il battesimo, fosse pure quello di ‘desiderio’, non era più considerato come condizione imprescindibile della salvezza, come limite all’esplicarsi dell’amore di Dio, a cominciare appunto dai bambini non battezzati di cui sarà revocata la fantasiosa destinazione al Limbo”. Dunque, ha chiosato La Valle “non c’è alcun impedimento dogmatico al cambiamento”.
Ugo Rosenberg ha quindi portato all’attenzione dell’assemblea le riflessioni sulla Chiesa italiana di fronte al degrado della democrazia sviluppate dal gruppo torinese del “Chicco di Senape”. “L’impressione - ha esordito - è che sia venuta meno, salvo lodevoli e non marginali eccezioni, una vera capacità critica e che i credenti, in larga misura e senza una adeguata strumentazione culturale, abbiano assecondato, magari con molti dubbi e preoccupazioni, la svolta populista di questi anni. Del resto è abbastanza diffusa l’opinione che, di fronte ad una progressiva perdita di rilevanza del cristianesimo nel tessuto umano e sociale, sia preferibile fare assegnamento su chi si professa difensore di alcuni valori (non negoziabili, usando una terminologia molto in voga di questi tempi), anche se poi non li pratica e neppure vi ci crede”. Ciononostante, sottolinea il “Chicco di Senape”, occasioni e iniziative come quella di Napoli “rappresentano una possibile, ma non certo unica, via per aprire prospettive e rinnovare una speranza”. A condizione che “esse non rimangano circoscritte”.
Nella seconda giornata (v. notizia precedente) Fabrizio Valletti, gesuita impegnato a Scampia, aprendo i lavori della mattina, ha ricordato che l’incontro si svolge in una città lacerata e sofferente, segnata da degrado, povertà vecchie e nuove e dalla presenza capillare della criminalità organizzata. In questo contesto anche la Chiesa, ha detto il gesuita, ha le sue responsabilità e vive le sue contraddizioni: bisogna perciò scegliere tra “una spiritualità delle apparizioni, della meraviglia dello spettacolo ed una più difficile, certo, e meno immediatamente ‘vincente’ (ma il cristianesimo non è la religione di chi vuole ‘vincere’), che è una spiritualità che rispetta la coscienza, l’approccio razionale alla realtà, l’approccio critico, il pensiero plurale”. La camorra, ha detto Valletti, esiste anche perché, oltre all’economia, si poggia su un senso del sacro “che garantisce l’ordine e segue la logica della protezione: ma lo spirito cristiano è lo spirito della libertà e della responsabilità”.
I lavori della mattina ruotavano intorno alla drammaticità della situazione presente che esige scelte radicali. Come quelle fatte da Bonhoeffer, il cui profilo spirituale ed umano è stato ben illustrato nell’ampia relazione di Pino Ruggieri, che ha collocato le parole scelte come tema dell’assise nel contesto sia della vita, sia dell’elaborazione, sia dell’azione ecclesiale e politica di Bonhoeffer, evidenziandone l’intima coerenza “teologica”, ancor prima che politica. Molti e articolati gli interventi nel dibattito. Marcello Vigli (CdB) ha rilevato l’importanza del tema scelto dagli organizzatori del convegno che rappresenta una novità e segna il passaggio da un orizzonte limitato al confronto fra elaborazioni teologiche ed esperienze individuali o collettive alla proposta di collocarle all’interno di analisi e riflessioni sui problemi della Chiesa ad una prospettiva più ampia, che investe tutta la società. “Anche la scelta di muovere da una riflessione su Bonhoeffer - ha detto Vigli - è significativa del superamento della diffidenza nei confronti del dissenso. Bonhoeffer è stato un ‘dissidente’ che ha agito in difformità dalla propria Chiesa, che si è anzi assunto la responsabilità di avvertire la propria Chiesa che stava commettendo errori. Assumersi questa responsabilità nei confronti della Chiesa quando riteniamo sbagli è forse uno dei modi migliori per vivere il Vangelo”.
E di queste novità ha ringraziato gli organizzatori.
Vittorio Bellavite, coordinatore nazionale di “Noi Siamo Chiesa”, ripercorrendo le tappe dei tre incontri de “Il Vangelo che abbiamo ricevuto” ha riproposto, vista la perdurante situazione di disorientamento nella Chiesa italiana e della minore credibilità delle sue istituzioni, la necessità di organizzare una “sinodalità dal basso”, fatta di movimenti, piccoli gruppi, pubblicazioni di ispirazione “conciliare” che sappiano collegarsi per dare voce sia al disagio che al dissenso. “Non bisogna avere paura -ha concluso- di andare in questa direzione per testimoniare l'Evangelo; altrimenti questi incontri sono destinati ad esaurirsi”. Giovanni Sarubbi (ildialogo.net) ha rilevato la mancanza nella discussione dei nodi principali che caratterizzano la crisi che sta attraversando la Chiesa e tutte le altre Chiese cristiane nel loro complesso e che riguardano essenzialmente la questione del potere, la teologizzazione dell'evangelo, e quindi di una spiritualità che non parte più dai frutti che produce e dall'impegno a favore degli ultimi. Nel pomeriggio del 18, i lavori, presieduti da Luciano Guerzoni, sono stati caratterizzati, nella prospettiva aperta da Ruggieri sul ruolo della preghiera premessa necessaria al “fare ciò che è giusto”, dalla ricerca di contenuti concreti da dare a questo “fare”. Nella prospettiva ecclesiale alcune indicazioni sono giunte da Giovanni Nicolini, che le ha attinte dalla sua esperienza di parroco alla Dozza di Bologna. Nella dimensione sociale è stato Giovanni Bachelet (che Guerzoni ha presentato in qualità di parlamentare del Pd e responsabile per quel Partito del Forum della Cultura), a fornire alcuni spunti di riflessione. Bachelet ha parlato della sua esperienza di giovane sollecitato alla politica anche dall’esperienza del padre, di cui ha ricordato e rivendicato la scelta imposta all’Azione Cattolica di cui era Presidente di distinguere l’impegno religioso dalla partecipazione politica: l’uno e l’altra ispirati al Vangelo e non separati ma distinti secondo la tradizione di quel cattolicesimo democratico, a cui anche lui oggi s’ispira, che ha sempre rivendicato alla politica la funzione di perseguire il bene comune e, ai cattolici impegnati in politica, l’autonomia nella scelta dei mezzi con cui raggiungerlo. Particolarmente importante tale rivendicazione oggi quando la gerarchia, invece, interviene pesantemente nella vita politica italiana. Ha anche riconosciuto, sollecitato da un intervento, che tale autonomia deve essere esercitata soprattutto nei confronti della politica scolastica da non subordinare agli interessi della scuola confessionale, come sta facendo oggi il governo, ma volgerla a realizzare il modello di sistema nazionale presente nella Costituzione. Le esperienze legate al “territorio”, come quelle di “Casa Rut”, presentate da suor Rita Giaretta, e quella di “Figli in famiglia”, illustrata da Carmela Manco hanno completato il quadro delle proposte. Guerzoni rispondendo alla sollecitazione di Bellavite, ha esaltato proprio la concretezza di questo tipo di esperienze rispetto alla virtualità della rete. Ad esse, ha detto Guerzoni, va aggiunta la promozione e l’animazione di momenti di confronto, scambio, raccordo tra diverse esperienze ecclesiali, senza pretendere di dare ad esse un coordinamento stabile, o una forma, seppure leggera, di organizzazione.
Resta l’ammonimento della teologa Bartolomei, che ha sottolineato, ripresa da diversi interventi, come l’eucarestia, contro ogni possibile significato consolatorio o di fuga dalla realtà, resti un fatto essenzialmente “politico”. E se la Chiesa, come ha ricordato Vigli, è oggi a tutti gli effetti un soggetto politico, chi, come credente, si impegna nella sfera temporale, non può pensare di scindere l’azione ecclesiale da quella politica.
 
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