Rodotà No al referendum su euro Italia creda nellaUE, da Europae Newsletter 23

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carloceruti
view post Posted on 25/9/2013, 07:42




Rodotà No al referendum su euro. Italia creda nella UE


Rodotà: “No al referendum sull’euro. L’Italia creda nell’UE”
Scritto da: Shannon Little 20 settembre 2013
Modena, un sabato di fine estate. Nel bel mezzo del Festival della Filosofia, che per tre giorni ha riempito le piazze più belle della città di persone giunte da tutta Italia ad ascoltare le relazioni e i dibattiti di ospiti quali Zygmunt Bauman, Massimo Cacciari, Michela Marzano e Umberto Galimberti, il Professore emerito della Sapienza Stefano Rodotà ha gentilmente accettato di sedersi in un caffè con noi per parlare di Europa. Mezz’ora in esclusiva ad Europae per riflettere sui problemi più brucianti e le questioni più spinose che attanagliano il nostro continente. Il candidato del Movimento 5 Stelle per la presidenza della Repubblica, che ha successivamente preso le distanze da Grillo, ha espresso con franchezza la sua opinione sui pregi e difetti del progetto europeo.

Di seguito la trascrizione della prima parte dell’intervista, dedicata al rapporto tra l’Unione Europea, i suoi Paesi membri e i suoi cittadini.
Il presidente della Commissione europea Barroso, nel discorso sullo Stato dell’Unione di fronte alla Plenaria del Parlamento a Strasburgo, ha affermato che non è corretto nazionalizzare i successi ed europeizzare i fallimenti, come molti fanno in Europa. È d’accordo?
«Fino a un certo punto. Perché dobbiamo anche guardare al modo in cui l’Europa viene percepita dai cittadini. Questo è molto importante. L’Italia era probabilmente il paese più europeista che ci fosse e io ricordo – ero in Parlamento – quando in occasione di un’elezione si decise di fare un referendum che riguardava l’Europa, proprio perché si voleva rafforzare ulteriormente questo legame. Io temo che andremo alle prossime elezioni europee con un’Italia all’interno della quale la propaganda antieuropeista avrà molte carte da giocare. Cosa che mi preoccupa molto. Proprio perché la percezione è che Bruxelles sia diventato un luogo da dove arrivano soltanto diktat economici. So che sto semplificando molto, ma questo è un dato che ho visto riproporsi in diversi Paesi nell’ultimo periodo. Non soltanto in quelli più in difficoltà, la Grecia, il Portogallo, la Spagna e l’Italia, ma la stessa Francia. E allora in questo momento dovrebbe essere l’Europa, nelle sue istituzioni, ad avere più senso critico nei confronti di se stessa, non compiacersi di nulla, non dire che c’è qualcuno che non capisce l’Europa. La vera domanda è: perché questo è avvenuto? Certo, c’è stata la crisi economica, ma questa non può determinare una lettura unilaterale della politica europea. Nel Consiglio europeo di Colonia del 1999, l’Europa aveva investito una Convenzione – così era stata chiamata – del compito di scrivere una Carta dei diritti, affermando che senza un riconoscimento dei diritti l’Europa non aveva legittimità, una parola molto più forte del semplice deficit di democrazia evidenziato, tra gli altri, da Jacques Delors. Il deficit di legittimità significa che le istituzioni non sono riconosciute come proprie dai cittadini. Questa strada ha trovato una conclusione nella proclamazione della Carta a Nizza nel 2000, e successivamente il riconoscimento formale nel 2009 con il Trattato di Lisbona, nel quale si precisa che essa ha lo stesso valore giuridico dei Trattati. Si deve lavorare su questo aspetto, perché ci sono, io credo, delle possibilità di mostrare ai cittadini europei il valore aggiunto dell’Europa, legato per esempio ai diritti. Se in Italia, prima delle elezioni prossime, si riuscirà a dire ai cittadini italiani, per esempio: “guardate che avete una possibilità in più, potete scegliere il paese europeo migliore, uno degli ormai 28, dove andare a farvi curare, e potete farlo liberamente”. Questo è qualcosa che avvicina il cittadino all’Europa e la fa sentire come uno spazio proprio. Gli esempi potrebbero essere molti, anche l’idea di solidarietà, uno dei capitoli della Carta dei diritti, potrebbe dare spunti importanti per uscire dalla logica puramente economicista.»
Domenica ci sono le elezioni in Germania. Secondo lei, qual’è il ruolo che gioca la Germania nell’Unione europea?
«L’Europa ha sempre avuto diversi motori. Molti Paesi hanno avuto ruoli più o meno importanti, anche l’Italia in qualche momento ha avuto un ruolo significativo. L’asse franco-tedesco ha sempre funzionato a dovere. Si tratta di un fatto positivo: si voleva garantire all’Europa una pace che era stata messa in discussione proprio lì, su quelle frontiere, tante volte, a cominciare dalle due guerre mondiali. E il fatto che l’Unione europea ci abbia dato il più lungo periodo di pace che l’Europa abbia mai conosciuto, non è piccola cosa. Però in questo momento le difficoltà economiche fanno emergere degli aspetti, non voglio dire di nazionalismo, ma di egoismo statuale. E allora io ritengo che sia stata una mossa di grande intelligenza e lungimiranza politica quella del Cancelliere Kohl quando, in riferimento al valore del marco della Germania Est, ha detto: “1 a 1”, sapendo quanto questo non fosse vero economicamente, perché le due monete avevano un valore enormemente diverso. Ma si trattava di un messaggio simbolico che doveva essere affermato e i cui costi dovevano essere sostenuti. E probabilmente, come dicono molti, questi costi sono stati anche trasferiti sul resto dell’Europa. Io questo discorso polemico non l’ho mai accettato e non lo accetto neanche oggi, perché in quel momento era importante che l’Europa avesse una Germania liberata da tradizioni politiche che non erano le migliori. Adesso c’è lo stesso problema. L’egoismo di uno Stato forte economicamente, in una situazione che gli consente una sorta di egemonia, può diventare rischioso. Osservatori come Habermas e Günter Grass hanno criticato una campagna elettorale tedesca nella quale l’Europa non è entrata con tutta la sua complessità, poiché era ritenuto un tema che facesse perdere voti. Se tutti ci chiudiamo in questo uso strumentale della politica… I grandi europei hanno avuto la capacita di guardare lontano. Adenauer, De Gasperi, Monnet, Delors, hanno avuto questa grande capacità, e hanno scelto di fare piccoli passi, ma di fare anche iniziative importanti e rischiose, come quella della moneta unica. Oggi questo in parte si è perduto. La Germania, avendo questa posizione forte, ha anche la responsabilità di riprendere questo cammino. Mi auguro che superata la fase elettorale e archiviato il problema del consenso a breve, ci sia questo passaggio che io ritengo assolutamente necessario per l’Europa.»
Passata però questa fase elettorale si aprirà, come diceva prima, quella delle elezioni europee nella primavera 2014. C’è il rischio di avere forti partiti euroscettici in tutto il continente? Qual è la sua prospettiva?
«Io questo rischio lo vedo. Vedo poi, anche guardando alla situazione italiana, non solo e non tanto il fatto che ci sia un euroscetticismo radicale, ma che venga attuata la seguente strategia: rimaniamo nell’Unione, abbandoniamo idee estreme come l’uscita dalla moneta unica, però nello stesso tempo, in qualche modo, destituiamo l’Europa di legittimità, e in questo modo finiamo per essere ostili a tutto quello che viene dall’Europa. È una strada a mio giudizio sbagliata. L’idea è avere più Europa. Ma anche Angela Merkel vuole un’Europa più politica. Il punto è: un’Europa più politica per fare che cosa? Per rendere ancora più vincolante l’aspetto puramente economico, o un Europa più politica che, per esempio, ampli le possibilità di azione del Parlamento, che riconosca la necessità di un’attenzione maggiore per ciò che fanno e dicono i cittadini, non solo perché nel Trattato di Lisbona, con una mossa lungimirante, accanto al discorso sulla democrazia rappresentativa è stata aggiunta una norma che parla della democrazia partecipativa, con la possibilità, per un milione di cittadini europei, di prendere iniziative in queste direzioni. Tutto questo è secondo me ciò di cui l’Europa ha bisogno. Una campagna elettorale in cui almeno alcune forze – che mi auguro che possano collegarsi in Europa – muovano in questa direzione, potrebbe rappresentare l’occasione per avere una discussione preelettorale meno vincolata, da una parte, all’aggressività e dall’altra, al puro atteggiamento difensivo dell’esistente, perché l’esistente è difficilmente difendibile.»
Cosa ne pensa della proposta avanzata diverse volte dal Movimento 5 Stelle di fare un referendum sull’Euro?
«Io sono molto scettico, anzi devo dire sono anche ostile. Innanzitutto vi sono vincoli di tipo costituzionale, perché qui siamo di fronte a trattati internazionali per i quali il referendum è esplicitamente escluso. Ma lasciando da parte l’argomento formale, qui c’è un problema vero di scarso approfondimento di questo tema. Cosa significherebbe uscire dall’Europa? Quali sarebbero i costi, non soltanto i costi in astratto per l’economia, ma proprio i costi concreti che sarebbero sopportati da chi è più debole economicamente? Siamo così sicuri che un’Italia che ha una situazione così difficile, critica, che stenta a riprendere il passo, non sarebbe stata travolta da una crisi molto più profonda se non avesse avuto l’ancoraggio europeo? Lo so che né la politica né la storia si fanno con i “se”, ma credo che queste cose andrebbero prese in considerazione.»
 
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